Quando un cane sfugge al controllo e provoca un danno a terzi, la domanda sorge spontanea: chi è davvero responsabile? Solo chi aveva con sé l’animale in quel momento, o anche il proprietario che, magari, non era neppure presente?
Su questo punto è intervenuta di recente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20949/2025 del 5 giugno 2025 dalla Quarta Sezione Penale, confermando un principio chiave: la responsabilità non dipende dalla presenza fisica, ma dal ruolo di garanzia che si ricopre rispetto all’animale.
Il caso nasce da un episodio molto concreto: un ciclista cade rovinosamente perché urtato da un cane che circolava liberamente su suolo pubblico. Il cane era formalmente intestato al figlio, ma in quel momento si trovava presso l’abitazione dei genitori. Il ricorrente, cioè il proprietario, ha sostenuto di non poter rispondere di ciò che era accaduto, non avendo il controllo diretto del cane al momento dei fatti. Ma per i giudici non è così semplice.
La Corte ha spiegato che l’obbligo di custodia grava su chiunque abbia un rapporto di fatto con l’animale, e che il titolo di proprietà è sufficiente a fondare una responsabilità giuridica, se non accompagnato da una chiara e comprovata dismissione del ruolo di detentore. In altre parole, essere formalmente proprietari implica un dovere di vigilanza che non viene meno solo perché l’animale si trova fisicamente altrove, specie se affidato a persone che potrebbero non avere le competenze o la diligenza necessarie a garantire un controllo effettivo.
La responsabilità, dunque, non è soltanto una questione di chi ha in mano il guinzaglio. È una questione di ruolo, di disponibilità dell’animale, e soprattutto di prevedibilità delle conseguenze. Se l’animale può fuggire, creare pericolo o danni, chi lo possiede — anche solo sulla carta — ha il dovere giuridico di evitare che ciò accada.
Non si tratta di un tecnicismo: si tratta di prevenzione, di precauzione, e, nei casi peggiori, di risarcimento e condanna penale.
Nel caso in esame, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ribadito che non si può parlare di “travisamento della prova” quando i giudici di merito, entrambi, hanno valutato gli stessi elementi e sono giunti alla medesima conclusione: il cane era nella sfera di responsabilità del proprietario, anche se fisicamente non era con lui.
Il messaggio che arriva da questa pronuncia è chiaro: quando si parla di animali, la responsabilità segue la relazione, non l’ubicazione. Il padrone, per legge, deve prevenire. Anche a distanza.
Avv. Lorenzo Sozio