Compensazioni fiscali e reato penale: cosa dice la Cassazione sull’uso dei crediti non spettanti

La sentenza n. 30773/2025, ha chiarito che per il reato di indebita compensazione non serve la produzione materiale dei modelli F24. È sufficiente qualunque prova che dimostri l’uso di crediti fiscali inesistenti o non spettanti

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 30773 del 15 settembre 2025, è tornata a occuparsi del reato di indebita compensazione, ribadendo un principio tanto semplice quanto incisivo: per condannare chi utilizza crediti fiscali non spettanti non serve neppure avere in giudizio i modelli F24, cioè i moduli attraverso cui si effettua la compensazione.

La vicenda nasce dal ricorso di un imprenditore condannato perché aveva compensato imposte e contributi utilizzando crediti d’imposta che, secondo l’accertamento dell’Amministrazione, non gli erano dovuti. La difesa aveva puntato su un argomento apparentemente forte: se mancano i modelli F24, come si può dire che la compensazione indebita sia davvero avvenuta?

La risposta della Suprema Corte è stata netta. Il reato si perfeziona nel momento in cui il contribuente “utilizza” un credito inesistente per abbattere il proprio debito fiscale. Ma la prova di questo utilizzo non deve necessariamente passare per l’esibizione materiale degli F24 in giudizio. Può ben derivare da altri elementi: i risultati di una verifica fiscale, la documentazione acquisita dall’Agenzia delle Entrate, perfino le dichiarazioni di chi ha seguito la contabilità. In altri termini, la forma cede il passo alla sostanza.

Il messaggio che emerge è chiaro: non ci si può difendere appellandosi alla mancanza di un documento se la sostanza dei fatti dimostra che la compensazione indebita c’è stata. La Cassazione ha così confermato l’orientamento già espresso in precedenza, sottolineando che la difesa deve puntare non tanto sui cavilli formali, quanto sulla dimostrazione della legittimità del credito utilizzato.

La sentenza ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso, confermando la condanna e condannando l’imputato al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria alla Cassa delle Ammende.

Per gli operatori economici e i consulenti fiscali, il messaggio è evidente: occorre la massima attenzione nell’utilizzo dei crediti d’imposta, perché la linea di confine tra un errore contabile e un reato penale può essere sottile. E, come ricorda questa decisione, quando il credito non è effettivamente spettante, nessun formalismo documentale potrà servire da scudo.

a cura di Avv. Lorenzo Sozio