Con la sentenza n. 18734/2025 (Cass. Pen., Sez. VI, depositata il 19 maggio 2025), la Corte di Cassazione ha ribadito un principio chiave in materia di esercizio abusivo della professione forense: non è necessaria la presenza in giudizio né la titolarità di una procura ad litem per integrare la fattispecie penale prevista dall’art. 348 c.p.. È sufficiente lo svolgimento abituale, retribuito e giuridicamente connotato di attività finalizzate alla tutela di interessi altrui in ambito contenzioso.
Il caso riguardava un soggetto privo di abilitazione forense che, per conto di una società, aveva curato diverse pratiche relative a decreti ingiuntivi, ricevendo un corrispettivo economico. Secondo la Corte, il fatto che l’attività si fosse svolta interamente in fase stragiudiziale non impediva la configurabilità del reato: ciò che rileva, ai fini della condotta penalmente sanzionabile, è la natura sostanziale dell’attività svolta, non la sua qualificazione formale o il contesto procedurale in cui si inserisce.
La pronuncia si proietta così su tutti quei contesti operativi in cui soggetti non abilitati forniscono, dietro compenso, assistenza tecnica in materia giuridica. Si pensi alla gestione dei sinistri stradali, alla consulenza nei recuperi crediti, alle trattative risarcitorie con compagnie assicurative, o alla redazione di opposizioni e atti connessi a procedure monitorie o esecutive.
In tutti questi ambiti, laddove l’attività sia svolta in modo professionale, sistematico, retribuito e finalizzata alla gestione di un contenzioso, essa rientra nella riserva legale stabilita dall’art. 2, comma 2, della Legge n. 247/2012.
In questo scenario, è opportuno richiamare l’attenzione su tutte quelle attività che, pur svolgendosi in ambito stragiudiziale, assumono un contenuto tecnico-giuridico rilevante e sono dirette alla tutela di interessi altrui connessi a una controversia.
Quando tali prestazioni consistono nella redazione di atti, nella gestione diretta di pratiche risarcitorie, nell’interlocuzione con compagnie assicurative o controparti, o nella formulazione di valutazioni giuridiche personalizzate, esse possono ricadere nel perimetro delle attività riservate agli avvocati, così come definite dalla normativa vigente.
La Corte di Cassazione ha chiarito che non è il titolo formale dell’operatore a essere rilevante, bensì la natura sostanziale dell’attività svolta.
In presenza dei requisiti di abitualità, retribuzione e finalizzazione alla gestione di un contenzioso, lo svolgimento di simili attività in assenza di abilitazione forense può integrare gli estremi del reato di esercizio abusivo della professione di cui all’art. 348 c.p.
Anche se svolta fuori dal processo, la consulenza giuridica abituale e retribuita rimane un’attività giuridicamente riservata agli avvocati.
Avv. Lorenzo Sozio